Cartelle Equitalia: le ultime sentenze sulla prescrizione non decennale

Il termine prescrizionale varia a seconda del tributo anche dopo la notifica della cartella; ecco tutte le ultime sentenze che escludono la prescrizione decennale tipica invece della sentenza passata in giudicato.

 
 

Il termine di prescrizione della cartella esattoriale non è necessariamente decennale ma varia in base al tipo di credito che ne è oggetto.
 
È sempre più diffuso ormai l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la cartella esattoriale non impugnata, essendo atto amministrativo, non può essere paragonata ad una sentenza che ha accertato definitivamente il credito.
 
Essa, pertanto, non ha sempre prescrizione decennale come il titolo giudiziale passato in giudicato. Il termine di efficacia della cartella, infatti, è di dieci anni solo quando essa ha ad oggetto tributi e crediti che per legge hanno prescrizione decennale (per esempio IRPEF, IRAP e IVA).
 
Qualora, invece, il credito intimato abbia un termine di prescrizione diverso, sarà entro quest’ultimo che la cartella avrà efficacia e potrà essere portata ad esecuzione.
 
 
 
In sintesi, i termini di prescrizione variano a seconda del tributo/credito oggetto della cartella.
 
Per esempio, la cartella avente ad oggetto multe per violazione del codice della strada, si prescrive dopo 5 anni dalla notifica; la cartella relativa al bollo auto dopo tre anni, quella riguardante imposte sui redditi dieci anni e così via.
 
Ne deriva che, se la cartella non è seguita dall’esecuzione forzata entro i suddetti termini, Equitalia perde il diritto di riscuotere le somme intimate.
 
 
 
Ebbene, ogniqualvolta il contribuente impugna gli atti dell’esecuzione forzata sollevando l’eccezione di prescrizione delle cartelle, Equitalia si difende affermando che il termine di prescrizione è sempre decennale, indipendentemente dal tipo di tributo/credito, in quanto la cartella non opposta sarebbe paragonabile ad una sentenza passata in giudicato la quale si prescrive appunto in 10 anni.
 
 
 
Tale tesi difensiva di Equitalia, tuttavia, perde sempre più valore a fronte delle numerosissime pronunce giurisprudenziali (provenienti da tutta Italia) che escludono l’assimilazione delle cartelle esattoriali alle sentenze.
 
 
È innanzitutto la Cassazione ad affermare che si applica il termine di prescrizione proprio del tributo anche dopo la notifica della cartella, in quanto essa è atto amministrativo che non può in alcun modo modificare tale termine [1].
 
Più precisamente, la cartella (a differenza della sentenza definitiva di condanna) è priva dell’attitudine a modificare il termine di prescrizione, con la conseguenza che il precedente termine prescrizionale proprio del tributo ricomincia nuovamente a decorrere dalla notifica della cartella stessa.
 
Tale orientamento è stato condiviso di recente dal Tribunale di Catania [2], dal Tribunale di Cosenza [3], dalla Corte di Appello di Lecce [4] e dal Giudice di Pace di Napoli [5].
 
 
Si segnalano, inoltre, le sentenze del Tribunale di Milano [6] e del Tribunale di Siracusa [7] che, con riguardo alla prescrizione delle cartelle relative ai contributi INPS, ritengono che, solo una sentenza passata in giudicato può mutare in decennale il termine di prescrizione originario (quinquennale), previsto per il singolo tributo.
Secondo i giudici, dalla mancata opposizione della cartella esattoriale discende l’effetto sostanziale dell’incontestabilità del credito, ma non gli effetti di natura processuale riservati ai provvedimenti giurisdizionali e, quindi, l’idoneità al giudicato.
 
Di conseguenza, l’azione esecutiva da parte di Equitalia è soggetta, non al termine decennale di prescrizione, bensì al termine proprio della riscossione dei crediti come previsto dalla legge (5 anni nel caso dei contributi INPS successivi al 1996).
 
 
Sempre con riguardo alla riscossione dei contributi INPS, il Tribunale di Roma [8] statuisce: “solo l’accertamento giudiziale può determinare l’allungamento del periodo prescrizionale di un credito, proprio per effetto dell’intervento del sindacato del giudice che ha verificato la fondatezza della pretesa azionata. Per contro, in difetto di previsione normativa in tal senso, non soccorre alcuna giustificazione che permetta di ricondurre un tale effetto al comportamento della parte che decida di non impugnare l’iscrizione al ruolo, in mancanza di qualsiasi accertamento giudiziale sulla fondatezza della pretesa dell’Ente creditore”. Ne deriva che la cartella esattoriale non opposta non può assimilarsi ad un titolo giudiziale, essendo formata unilateralmente dall’INPS.
 
 
Stesso orientamento si riscontra nella sentenza del Tribunale di Potenza [9] dove si legge “se la definitività del credito non deriva da un provvedimento giurisdizionale irrevocabile, (ma da una cartella esattoriale non opposta) vale il termine di prescrizione previsto dalla norma specifica”.
 
 
 

[1] Cass. Sez. Unite n. 25790/2009, sez. Tributaria n. 12263/2007, sez. Lavoro n. 6741/2012.
 
[2] Trib. Catania, sent. n. 144/2015 e n. 1412/2012.
 
[3] Trib. Cosenza, sez. Lavoro, sent. n. 636/2015.
 
[4] C. App. Lecce, sent. n. 668/2014.
 
[5] GdP Napoli, sent. del 30.9.15.
 
[6] Trib. Milano, sez. lavoro, sent. n. 112/2008.
 
[7] Trib. Siracusa, sent. n. 17422 /2013.
 
[8] Trib. Roma, sent. n. 4549/2015.
 
[9] Trib. Potenza, sent. n. 306/2015.
 
 
Articolo tratto da: laleggepertutti